Con il termine abuso si fa riferimento a tutti quei comportamenti dove un soggetto abusa del suo potere in quanto a forza fisica e/o psicologica su un altro individuo, non tenendo conto dei suoi bisogni o desideri.
L’abuso è un atto di forza, una costrizione fisica, psicologica o sessuale di un individuo nei confronti di un altro ritenuto più debole e indifeso.
Andando più nel particolare, l’abuso sessuale è da intendersi come una costrizione mediante violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali. Spesso si sente parlare di abuso sessuale infantile, proprio perché spesso i comportamenti abusanti avvengono tra adulti e bambini che per definizione sono ritenuti indifesi e assoggettabili.
Oggi purtroppo le cronache ci informano come la violenza sessuale infantile, sia molto frequente sia all’interno delle mura domestiche che nel gruppo di pari, nonché di atti di violenza nei confronti delle donne, purtroppo ancora oggi ritenute “il sesso debole”, da parte di amanti violenti.
Questo vuol dire che la maggior parte degli abusi si realizza da un lato all’interno del sistema familiare, è il caso di padri, zii o cugini che operano violenze sessuali nei confronti di minori di entrambi i sessi o di mariti e/o fidanzati violenti nei confronti di moglie e/o fidanzate; dall’altro che i gruppi amicali, hanno perso la loro funzione ricreativa e di socializzazione, diventando sempre di più contesti carichi di ansia, minaccia e giudizio.
Ma aldilà delle differenti tipologie o caratteristiche dell’abuso sessuale, questo è pur sempre un evento che genera una enorme ferita soprattutto se avviene nel periodo della crescita, quando abbiamo bisogno di punti di riferimento stabili e accoglienti più che di costrizioni e invasioni.
Allo stesso modo, anche quando avviene in età adulta, l’abuso è comunque un evento catastrofico, in cui permane un senso di minaccia nei confronti della propria integrità psicologica, poiché è stata fatta una violazione della nostra libertà e una negazione della nostra individualità.
Essere stati abusati vuol dire aver vissuto uno tsunami emotivo e non essere morti, vuol dire esseresopravvissuti ad una catastrofe e quindi cercare disopravvivere nonostante il ricordo e nonostantele conseguenze che un tale evento trascina con sé da un punto di vista psicologico.
L’aver vissuto un abuso, infatti, lascia una scia di sentimenti caratterizzati dal senso di vuoto, dalla rabbia nei confronti di se stessi e degli altri, dalsenso di colpa profondo, e di tradimento e sfiducia nei confronti delle relazioni affettive. Tale emozioni se non riconosciute e legittimate possono portare alla costituzione di vere e proprie psicopatologie come depressione, panico, disturbi alimentari ecc.
Di fronte a tutto ciò, a volte la prima reazione è quella di negare il ricordo o l’evento, come se fossimo stati noi i responsabili di un “crimine” da dimenticare. Ma invece è proprio a partire dal riconoscimento di quello che abbiamo subito, è proprio legittimando la nostra ferita che possiamo riconoscerci quella dignità che l’abuso ha strappato e portato via.
Non è semplice, non è immediato ma è inevitabile per poter sopravvivere ad un abuso, passare attraverso di esso, anche quando l’stinto ci spinge a dimenticare, a non denunciare poiché avverte il sentore di un dolore profondo e acuto.
Così come l’Araba Fenice che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte, è proprioattraversando il dolore e la catastrofe emotiva, che diventa possibile riprendersi quel potere personale che l’abuso ha tolto, e imparare a vivere nonostante il ricordo.
Pe far questo però risulta fondamentale essere sostenuti da un punto di vista psicoterapeutico, al fine di sperimentare quel clima psicologico sicuro che permette alla persona di legittimare se stessa e il proprio dolore, come punto di partenza per una nuova rinascita.
A cura della Dott.ssa Maria Cristina Bivona