La vita e la morte, grandi tematiche esistenziali che spesso sono entrate nel salotto del mio studio attraverso le storie dei miei clienti. Storie di nascite, a volte faticose, sospese, ma comunque portatrici di gioie e cambiamenti, storie di perdite, lutti, vuoti, assenze, un dolore a volte sordo altre disperato.
Tutti noi avremmo a che fare con la perdita di qualcuno di significativo, la sappiamo tutti che prima o poi vivremmo questa esperienza, ovviamente speriamo più poi che prima e ovviamente viviamo come se questa evenienza non faccia parte della nostra vita.
Quante volte nei miei articoli ho evidenziato l’importanza di stare in contatto con le proprie emozioni, con il proprio dolore, questo vale anche con la morte?
In realtà la risposta non può essere univoca ed esclusivamente affermativa: non si può stare costantemente a contatto con un dolore così atroce come la perdita di una madre, di un padre, di un figlio o di un cane….
Per sopravvivere dobbiamo ogni tanto staccare la spina da questa emozione, scollegarci essere incongruenti…. Parliamoci chiaramente è uno di quei dolori difficile da mutare in qualcosa di trasformativo, catartico, positivo….. Quante volte mi sono sentita dire: “ma che ci vado a fare da una psicologa, che aiuto mi può dare, può riportare in vita il caro estinto?”
In effetti non hanno tutti i torti…. Ma cerchiamo di comprendere più da vicino questo dolore. Quando viene a mancare qualcuno di significativo, il dolore appartiene essenzialmente a due categorie:
- Da un lato lo strazio riguarda proprio l’assenza, la mancanza, la nostalgia della persona che da un certo punto in poi non sarà più presente nella nostra vita, a ciò si aggiunge lo shock, il trauma di aver accompagnato alla morte la persona cara oppure di averla persa improvvisamente.
- Dall’altro si attivano una serie di emozioni di intensità e tipologia variabile che hanno poco a che fare con il defunto in carne ed ossa, ma più con quello che rappresentava nella nostra vita. In questo ambito i significati e le emozioni possono essere le più disperate: il lutto può riattivare per esempio un profondo senso di solitudine (morte di un coniuge), il dolore di non poter essere più amati incondizionatamente o viceversa l’amarezza di non essere mai stati davvero accettati (morte di un genitore), in altri casi il lutto può drasticamente metterci in contatto con l’imprevedibilità della vita (morte improvvisa) o attivare un grande rabbia (suicidio/omicidio).
In poche parole è vero che noi psicologici non possiamo ridare la vita, ma per ognuno di queste due categorie è possibile attivare un potere trasformativo. Nel primo caso si può piano piano sperimentare come il dolore e il pianto per la perdita, sia comunque un modo per contattare e rendere vivo, non solo il ricordo, ma soprattutto l’amore che abbiamo provato per quella persona. Più lo piango e più in quel momento sto vivendo il mio amore per lui.
Nel secondo caso, la perdita di qualcuno può davvero essere un’occasione per far mergere e lavorare su alcune ferite esistenziali che altrimenti sarebbero rimaste taciute, a far danni. E quindi cercare di accogliere la nostra solitudine, lavorare sul nostro bisogno di controllo…….fare i conti con l’universale bisogno di essere amati per quello che siamo, ecc.
Detto ciò, la morte di qualcuno che amiamo è una cicatrice indelebile nella storia della nostra vita….. E’ uno strappo di dolore e sta a noi decidere se rimarrà solo questo oppure se al dolore possiamo aggiungere (non sostituire) amore, rinascita e crescita.
A cura della dott.ssa Maria Cristina Bivona