Non sempre riusciamo a comunicare apertamente a noi stessi il nostro stato d’animo, a volte infatti non siamo per nulla consapevoli del nostro disaggio affettivo e delle nostre conflittualità psichiche.
Quando un malessere affettivo esiste, ma non ce ne rendiamo conto, esso può trovare una via d’uscita, una forma di espressione, attraverso il corpo e/o una malattia fisica, in assenza di una reale causa medica.
Questo accade frequentemente nelle persone che hanno una grande difficoltà a contattare le proprie emozioni:
“Sento un disagio, non riescono a dargli il giusto nome (per esempio provo ansia o depressione, ma sarebbe troppo doloroso stare con queste emozioni), e quindi il mio disagio emotivo si manifesta attraverso un malessere fisico tipo mal di testa, di pancia, svenimento ecc.”
In poche parole, avviene uno spostamento per cui il disagio emotivo viene spostato sul corpo, attraverso la presenza di un sintomo.
La difficoltà di contatto emotivo può assumere differenti forme espressive che sono caratterizzate da vissuti prevalentemente ansiosi o depressivi.
1.Sul versante ansioso distinguiamo:
a) Disturbo da conversione. La persona riferisce una storia di disturbi fisici in assenza di meccanismi patologici conosciuti. Sono un esempio: paralisi, difficoltà a deglutire o nodo alla gola, mancamenti, afonia, perdita della sensibilità tattile o dolorifica, cecità, sordità, convulsioni, amnesia, ecc., in assenza di patologie fisiche.
In queste persone avviene uno spostamento della rabbia e dell’aggressività in termini autopunitivi, tanto che i loro gravi traumi emozionali, si trasformano in conversioni somatiche.
b) Disturbo di somatizzazione. E’ una sindrome cronica, costituita da sintomi somatici multipli, tipo dolore alla testa, addome, schiena, articolazioni, arti, torace, retto ecc., in aggiunta a problemi gastro-intestinali (nausea, meteorismo, vomito) e sintomi sessuali (indifferenza sessuale, disfunzioni dell’erezione o della eiaculazione, cicli mestruali irregolari); che non possono essere spiegati con cause organiche, e che sono associati a disagio psico-sociale.
Esiste una minima percezione del disagio ma anche l’incapacità di metterlo in relazione al corpo.
La presenza di questo disagio in famiglia, suggerisce l’esistenza di fattori genetici e/o ambientali, infatti spesso l’“addestramento” e l’esempio genitoriale, “insegnano” al bambino a somatizzare.
c) Disturbo ipocondriaco. Le persone affette da questo disturbo si sottopongono a continui esami clinici per confermare l’idea delirante di avere una grave malattia.
Se i risultati sono negativi considerano errato l’esito e ripetono gli esami dopo breve tempo, magari più approfonditi. Tali persone non hanno la capacità di pensare che il loro disagio possa avere un origine psicologica.
d) Dismorfofobia. E’ un disturbo dell’immagine corporea, definito come la preoccupazione per un difetto immaginario o di minima entità nell’aspetto fisico. Mi vergogno in maniera esagerata di una parte del mio corpo (per esempio naso), anche quando esteticamente non è così “deforme”. Pensiamo a coloro che modificano totalmente il loro viso, grazie alla chirurgia estetica, poiché non accettano molte parti di esso.
e)Depersonalizzazione/ Derealizzazione. Descrive una condizione di estraneità dal proprio corpo e/o dal mondo esterno.
Nel primo caso è’ presente un sentimento di non appartenenza al Sé cosciente e/o al Sé corporeo(come se ci si allontanasse da sé e dal proprio copro osservandosi da fuori); nel secondo caso si vive un sentimento di estraneità, distacco, irrealtà, riferibile al mondo esterno.
Entrambi i disturbi sono caratterizzati da momenti in cui la persona vive improvvisa impennata ansiosa.
2. Sul versante depressivo abbiamo:
Le depressioni mascherate. Le persone che soffrono di tale disturbo, non ha capacità di contatto con il proprio stato di sofferenza. Spesso esprimono il loro disagio con localizzazioni standard (tipo cefalee che solitamente aumentano in relazione ad eventi emotivamente pregnanti).
La modalità che accompagna le forme depressive è la lamentosità, riportata come sofferenza corporea di cui non ci si riesce a liberare (anziché come esperienza legata ad umore depressivo).
Il linea generale, questi disturbi sono espressione di bassa autostima, e anche un segno di eccessiva attenzione verso di sé (egocentrismo, narcisismo).
La rabbia che deriva dalle delusioni, frustrazioni, rifiuti, da esperienze di perdita passate, si esprime nel presente nella ricerca delle attenzioni e dell’aiuto degli altri, che poi spesso vengono respinti.
Recitano il ruolo del malato di fronte a problemi che gli appaiono insormontabili: infatti
ad una persona malata è consentito di evitare obblighi sgraditi, di rimandare prove impegnative, di sottrarsi ad impegni onerosi.
Per tutto ciò, è fondamentale un aiuto psicoterapeutico, che permetta a queste persone di esprimere il disagio emotivo, sottostante al sintomo corporeo.
In questo modo si potranno legittimare le proprie ferite e aumentare il contatto e l’alfabetizzazione con le proprie emozioni, senza dover per forza ricorrere sempre al disagio fisico, per poterle esprimere.
A cura della Dott.ssa M.C. Bivona